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Sono assai numerose le usanze tipiche friulane in tempo natalizio, tanto da suggerire una approfondita e ampia ricerca.
In questo articolo tratteremo l’argomento in modo sommario lasciando ad un prossimo “Saggio” uno studio maggiormente approfondito. E’ da tenere comunque presente che alcune tradizioni, dopo secoli di vitalità, sono purtroppo scomparse proprio ai giorni nostri.Sul far del tramonto del 5 Dicembre in molte località della Valcanale, della Carnia e della Pedemontana friulana si festeggia San Nicolò. Secondo tradizione, con la barba folta e bianca e accompagnato da Angeli, distribuiva dolci ai più piccoli e buoni. Non portava grandi regali: si trattava essenzialmente di frutta secca e poco più. Appena però il sole tramontava, San Nicolò scompariva lasciando la popolazione alla mercè dei diavoli, i Krampus, che sbucavano nella notte alla frenetica ricerca dei bambini cattivi. Ancora oggi questa tradizione è mantenuta viva in molte località.
Dall’antica tradizione della chiesa aquileiese ci giunge invece il “Missus” o novena di Natale. Nei nove giorni che precedono il Natale la comunità si raduna in chiesa per prepararsi alla Natività. La preghiera ha inizio con il canto del Missus cioè, il brano evangelico in cui si riferisce dell’annuncio dell’Angelo a Maria (Lc 1, 26-38). La melodia generalmente varia da un paese all’altro, ma conserva fondamentalmente l’impostazione tipica del canto aquileiese.
Un altra usanza molto diffusa è (o forse sarebbe meglio dire, era) l’accessione del “Nadalin” (chiamato anche “zoc”) la notte della vigilia di Natale. Pur essendo un usanza di origini pagane, fu fatta propria in epoca cristiana assegnandole un valore ben preciso: Gesù bambino veniva a scaldare ogni famiglia e ogni cuore. Il “nadalin” è un grosso ceppo generalmente di faggio, quercia o anche gelso che veniva scelto durante l’anno quindi fatto stagionare per garantire un ottima resa di calore ma soprattutto una lunga durata. Molti contadini pensavano che più grande fosse stato il ceppo, più grosso sarebbe diventato il maiale: siamo quindi certi che la scelta fosse estremamente accurata e ponderata. Posto nel fogolâr, secondo tradizione il nadalin veniva accesso prima della messa di mezzanotte dal famigliare più giovane e sorvegliato da quello più anziano. Il “nadalin” doveva rimanere acceso fino a Capodanno, ma se si riusciva a mantenerlo ardente fino all’Epifania, questo avrebbe portato fortuna a tutta la casa. Dopo l’Epifania, la cenere veniva posta ai quattro angoli che delimitavano i campi a protezione del raccolto contro grandine e temporali.
In alcune località del Friuli, la vigilia di Natale, era d’uso tra i ragazzini formare piccoli cortei che guidati da una stella (simbolo della Natività) issata su di un bastone, si spostavano di portone in portone. I bambini, quindi, intonavano canti natalizi ricevendo come ricompensa frutta o dolci. Altrove, un’abitudine del tutto simile era d’uso a Capodanno quando gruppi di cantori giravano di casa in casa per ricevere regali (o più semplicemente per visitare le famiglie con ragazze..). Riteniamo però che tali usanze stiano ormai scomparendo ad eccezion fatta di Sauris dove una simile usanza è tuttora viva.
Il periodo natalizio era anche tempo di dichiarazioni amorose. Offrire l’acqua Santa ad una ragazza dopo la Messa di mezzanotte o lasciare un ceppo sulla porta della sua casa equivaleva ad una dichiarazione.
Una credenza molto diffusa voleva, poi, che la notte di Natale gli animali potessero parlare.
Assai numerosi sono i riti appena successivi al Natale. Alla vigilia dell’Epifania, una cerimonia liturgica assai importante era la benedizione dell’acqua. In alcune località, venivano portate in chiesa delle grandi tinozze dalle quali poi la popolazione attingeva per un uso personale. Dell’acqua benedetta si faceva un uso assai diversificato: veniva bevuta subito come medicamento per il corpo e lo spirito, oppure portata a casa in fiaschi ed utilizzata in seguito contro le malattie misteriose o contro il malocchio. In taluni luoghi la cerimonia era anticipata da una breve processione nella quale un bambino portava, stretta a se, la croce; il bambino veniva chiamato “la mascarute“, e rappresentava l’ingresso del carnevale.
Lo spettacolo più affascinante, ancora oggi vivo e sentito, è quello dei Pignarûi. Si tratta di uno dei più antichi riti friulani, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Il Pignarûl sembrerebbe legato all’adorazione di Beleno (o Belanu), divinità protoceltica della luce. Beleno era uno dei principali Dèi pagani per il quale si eseguivano sacrifici e riti collegati ai cicli solari. Tra questi vi era l’accensione di falò sulla cima dei colli, forse anche in onore della sua compagna, Belisma, Dèa del fuoco. Così ancora oggi dopo secoli, al calar del sole, il 5 gennaio e più frequentemente la sera del 6 Gennaio il Friuli si illumina di centinaia di falò.
Ai Pignarûi, talune volte, si accompagna anche un’altro antico rito: quello delle Cìdulìs. La cerimonia, altrettanto intrisa di fascino e mistero, consiste nel lancio da un altura di rotelle fatte di legno di faggio o abete infuocate.
Il giorno dell’Epifania è caratterizzato anche da due note rievocazioni, durante le quali sacro e profano si mischiano insieme. Parliamo della Messa dello Spadone a Cividale e della Messa del Tallero di Gemona. A Cividale si svolge la Messa dello Spadone anticipata da un corteo storico in costume di oltre 250 figuranti. La rievocazione culmina con la cerimonia liturgica, durante la quale fa la sua comparsa una spada , appartenuta al Patriarca Marquardo di Randeck, che il Diacono usa, in diversi momenti, sollevandola e fendendo l’aria in segno di saluto o benedizione. A Gemona , invece, lo stesso 6 gennaio ha luogo la “Messa del Tallero”. Durante la funzione religiosa la Comunità Civile, rappresentata dal Sindaco, offre alla Chiesa, nelle mani dell’Arciprete, un dono concreto rappresentato da un tallero d’argento, come segno di sottomissione del potere temporale a quello spirituale. La cerimonia è ricca di gesti rituali, praticamente rimasti immutati per secoli.