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Durante l’Età della Pietra e del Bronzo il Friuli era abitato da tribù Paleovenete. Durante l’Età del Bronzo gli Euganei daranno vita alla cosiddetta “cultura dei castellieri”, ossia la diffusione di borghi fortificati posti in collina e protetti da una o più cerchia di mura.
Durante l’Età del Ferro i Veneti occuperanno le terre degli Euganei (950 a.C. circa). In Friuli, si stanziarono lungo la costa adriatica e raramente si spinsero più a Nord. I Veneti, saranno a loro volta assoggettati da una tribù celtica, quella dei Carni, che intorno al 400 a.C. valicò le Alpi.
I Carni erano dediti alla caccia ed alla pastorizia, oltre ad essere molto abili nella lavorazione del ferro e del legno. A conferma della presenza dei Celti in Friuli vi sono molte usanze ancora oggi vive tra la popolazione locale, come l’accensione di fuochi durante il solstizio d’inverno (pignarûi) ed il lancio di rotelle di legno infuocate (tîr des cidulis).
A difesa dell’Italia Nord-Orientale, il Senato romano decise la fondazione di avamposto che sarà chiamato: Aquileia. La nuova città sarà costruita nel 181 a.C.. La città nasceva come baluardo militare nella lotta contro le tribù circostanti e assunse nel tempo un ruolo fondamentale nell’espansione romana oltre le Alpi. Nel 169 a.C contava già 15.000 abitanti.
I Carni, nel tentativo di arginare l’espansione romana, si allearono con altre tribù ma furono definitivamente sconfitti nel 115 a.C. dalle legioni del console Marco Emilio Scauro. I Carni una volta assimilati continuarono a vivere a fianco dei romani parlando però un latino con inflessione e accento propri, conservando anche molte parole della propria lingua madre.
Durante la colonizzazione romana si svilupparono altri importanti avamposti fortificati come Forum Iulii (l’odierna Cividale del Friuli), Iulium Carnicum (l’odierna Zuglio) e Iulia Concordia (l’attuale Concordia Sagittaria), famosa per la presenza di un importante fabbrica di frecce (da qui, il termine Sagittaria).
Intorno al 7 d.C., l’imperatore Augusto divise l’Italia, in Regiones; Aquileia divenne così la capitale della X Regione augustea Venetia et Histria.
La diffusione del Cristianesimo (fin dal I° secolo dopo Cristo) contribuì alla totale romanizzazione del Friuli. Eppure, il Vescovo di Aquileia, Fortunaziano (circa 343-355) era costretto a stendere il commento dei Vangeli in lingua rustica, a significare che dovevano essere ancora molti i caratteri locali della popolazione residente.
Nel 401, i Visigoti guidati da Alarico I dopo aver superato i confini orientali dell’Impero valicarono le Alpi penetrando in Friuli. Pochi anni dopo sarà la volta degli Ostrogoti di Radagaiso e quindi ancora dei Visigoti che giunsero fino a Roma (410). Sarà però l’incursione Unna a segnare la distruzione di Aquileia (452). La città, difesa da forze esigue, si arrese per fame ad Attila il quale ne dispose il suo incendio.
Le incursioni barbariche fino a questo momento non aveva assunto caratteri di vere e proprie invasioni. Si trattava piuttosto di scorrerie e saccheggi alla ricerca di oro e beni preziosi. Le città venivano assediate, quindi spogliate di tutto e sovente date alle fiamme. Sarà necessario aspettare Teodorico (488) per “assistere” alla prima “vera invasione”. Teodorico, a capo di un esercito ben armato di Ostrogoti, raggiunse l’Italia provenendo dalla Pannonia. Sconfitto Odoacre si sostituì ad esso.
Dopo la morte di Teodorico (526) il Friuli fu a lungo campo di battaglia tra Bizantini e Goti, fino a quando nel 568 ebbe inizio l’invasione dei Longobardi. Provenienti dalla Scandinavia, si stanziarono intorno al II° secolo d.C. in Germania, nelle vicinanze di Amburgo, dove entrarono in contatto con i Vandali. Nel IV° secolo d.C. l’intero popolo avrebbe però lasciato la Germania e dopo aver superato il Danubio (tra il 530 ed il 540) raggiunse la Pannonia dove si convertì al cristianesimo ariano. Il fascino dell’Italia (ma anche probabili e facili conquiste) gli attrasse a tal punto che nel 568, guidati dal loro re Alboino penetrarono in Friuli. Nello stesso anno, a seguito di una disputa con il Papato, la chiesa di Aquileia si rese gerarchicamente indipendente nominando il vescovo Paolino I, Patriarca.
L’invasione del Friuli fu lenta anche se non incontrò alcuna resistenza armata. Nel 569, sarà lo stesso Alboino, ad istituire il Ducato del Friuli, poi affidato al nipote Gisulfo I, il quale accettando l’incarico pretese di mantenere in regione le più forti e nobili “fare”. Questo ci aiuta a comprendere come il ducato friulano fosse così fieramente nazionalistica ed autonomistica da riuscire a creare uno “stato” all’interno dello stesso regno longobardo.
Inizialmente l’integrazione con le genti locali non fu facile. La successiva ridistribuzione delle terre e la rinascita dell’agricoltura portarono però all’instaurarsi di una pacifica e proficua convivenza.
Il Ducato friulano, che governava ormai su tutte le terre poste tra il Livenza ed il Timavo, si fondava su quattro “municipi”: Forum Iulii (Cividale), Aquileia, Iulium Carnicum (Zuglio) e Concordia. Cividale fu scelta come capitale. Furono quindi consolidate diverse roccaforti nell’area periferica del ducato, nelle quali furono dislocate diverse Arimannie . Le roccaforti gravitavano intorno a centri fortificati maggiori chiamati Castrum. Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum ne cita diversi: Cormons, Nimis, Artegna, Osoppo, Ragogna, Gemona, Invillino. Altri insediamenti minori erano invece: San Daniele, Montenars, Tarcento ed Attimis.
Nel 610, gli Avari sconfinarono in Friuli. Paolo Diacono narra con accenti epici la strenua difesa dei longobardi “friulani” che nonostante il grande valore dimostrato in battaglia, non poterono opporsi all’esercito conquistatore. Terminata l’incursione avara, seguì un periodo di pace che influirà positivamente sia sull’economia che sul commercio così come sull’aumento demografico. Nel contempo la regina Teodolinda (sposa prima di re Autari quindi di re Agilulfo) promosse la conversione del popolo longobardo alla religione cattolica. Fu così, che lentamente, i Longobardi si accostarono alla civiltà romana, probabilmente anche grazie all’Editto di re Rotari (643) che si occuperà di codificare le antiche leggi del popolo longobardo integrandole con il diritto romano. La lingua della maggioranza della popolazione era ormai quella latina, nella quale però si inserivano molti termini germanici, alcuni dei quali ancora oggi presenti nella lingua friulana.
Un periodo di grande sviluppo culturale ed economico coincise con il governo di Pemmone, proclamato duca nel 706. Definito da Paolo Diacono come «uomo intelligente e utile alla patria», oltre ad essere un grande guerriero fu nello stesso tempo desideroso di cultura e di giustizia. A lui si devono le valorose vittorie contro gli Slavi, così come a lui si deve la nascita della scuola di cultura latina. Il suo operato finì, tuttavia, per irritare re Liutprando a causa della contesa che lo vide protagonista con il Patriarca di Aquileia Callisto. Fu così nominato duca, il maggiore dei suoi figli, Ratchis.
Ratchis governò il Friuli per cinque anni (734-744) è anch’esso si dimostrò, come il padre, amante della cultura ed abile guerriero. In particolare si distinse nella difesa di re Liutprando quando nei dintorni di Fossombrone, fu attaccato a tradimento da ribelli spoletini. Il prestigio così guadagnato gli permise di ottenere il trono di Pavia (744). Gli subentrò così nel governo del Friuli il fratello Astolfo che diventerà anch’esso re d’Italia quando Ratchis si ritirerà nel convento di Montecassino.
L’ultimo e sfortunato re dei Longobardi sarà re Desiderio che osteggiato dal Papato, sarà sconfitto dai Franchi (774).
Il ducato friulano, raggiunse i massimi livelli di indipendenza proprio con l’ultimo duca Rotgaudo, che a capo della “resistenza friulana” si oppose al potere carolingio, dimostrando che il Friuli aveva ormai acquisito una propria autonomia politica. Alla fine, però, anche Rotgaudo dovette arrendersi.
Carlo Magno dopo la battaglia con il duca Rotgaudo si spinse fino a Cividale dove organizzò una durissima repressione. Quindi, dopo essersi autoproclamato Gratia Dei rex Francorum et Langobardorum, riorganizzò il regno sul modello franco, con conti al posto dei duchi.
Nel 787 viene elevato Patriarca, con il consenso dello stesso Carlo Magno, il cividalese Paolino II. Al nuovo patriarca sono riconosciuti i possedimenti della chiesa aquileiese e nuove importanti donazioni (792). Il patriarca vede accrescere il suo potere fino a divenire “missus dominicus” per il regno italico, ponendosi sopra lo stesso Duca del Friuli.
La morte di Paolino (802) e quella di Carlo Magno (814) segnerà tuttavia un periodo di grande instabilità soprattutto a causa della più disastrosa delle invasioni: quelle degli Ungari. A partire dal 899 e nei successivi 50 anni saranno almeno 12 le incursioni degli Ungari in terra friulana. Le loro invasioni non avevano carattere stabile, si trattava bensì di rapide incursioni che lasciavano dietro a se incendi, morti e rovine. Le conseguenze di queste incursioni saranno fatali per il Friuli, portarono infatti allo spopolamento della regione, all’interruzione delle vie di comunicazione e all’abbandono delle attività produttive. Solo l’avvento di Ottone I alla corona imperiale (951) pose fine a queste tremende scorrerie.
Sarà però il Patriarcato di Aquileia ad intraprendere una importante opera di ricostruzione. Per il Friuli saranno anni di rinascita sociale e materiale. Molti castelli verranno ricostruiti, altri rafforzati. Il Patriarcato si consolida ulteriormente con la nomina (1019) a Patriarca di Volfango detto Poppo (o Poppone). Il suo governo durò ben 23 anni alla fine dei quali la carica patriarcale ne uscirà ancora maggiormente rafforzata.
Il 3 aprile 1077 il Patriarca Sigerardo (1068-1077) vedrà premiata la fedeltà all’imperatore Enrico IV con l’investitura feudale, con prerogative ducali, su tutta la contea del Friuli alla quale, l’11 giugno dello stesso anno, furono donate anche la marca di Carniola e la Contea d’Istria. «Con tali atti il Friuli riacquistava la sua integrità territoriale e la sua autonomia politica dalla marca veronese e dal ducato carinziano. Tutti i diritti già prima acquisiti sui propri territori e quelli spettanti al conte in quanto rappresentante imperiale venivano unificati nella sola persona del patriarca.» (Menis)
Con la nascita della “Patria del Friuli”, all’unità del territorio friulano veniva ad affiancarsi anche un unità etnico e culturale che ormai poteva essere definita semplicemente “friulana”. Nonostante non si trattasse di un vero e proprio stato sovrano, l’esempio “friulano” rappresenterà una delle forme più mature di organizzazione politica unitaria ed accentrata sorte, nel Medioevo, in Europa.
I successori di Sigeardo si mantennero fedeli alla politica di Enrico IV e poi del figlio Enrico V facendo dello stato friulano un importante pedina della politica imperiale in Italia. Quando alla morte del patriarca Pellegrino II gli succede Volchero di Ellenbrechtskirchen (1204-1218) il Friuli è ormai lo stato più ampio dell’Italia settentrionale. Questo sarà il periodo di massimo splendore del patriarcato. La stabilità politica raggiunta con Volchero favorì lo sviluppo di nuovi traffici commerciali e diede un grande impulso alle attività produttive; fu inoltre migliorata la rete viaria e brillante fu l’attività culturale (sono di questo periodo le prime espressioni poetiche in lingua friulana).
A Volchero successe il patriarca Bertoldo di Andechs-Merania (1218-1251) che riservò, fin dall’inizio del suo mandato, un particolare riguardo alla città di Udine. Riuscì abilmente a fermare le mire espansionistiche di Treviso obbligandolo alla pace (1221). Il timore di un’avanzata dei ghibellini, Ezzelino III da Romano e Mainardo III, conte di Gorizia, lo spinse però a cercare nuove alleanze nel “partito” guelfo siglando intese prima con Venezia quindi con il duca di Carinzia ed infine con tutta la lega guelfa (Brescia, Mantova, Ferrara).
Il patriarca non riuscì più a conservare la coesione tra i comuni friulani e frequenti divennero i tradimenti, le congiure e le lotte tra vassalli; lo stesso conte di Gorizia divenne il principale avversario dell’autorità patriarcale.
Sarà necessario attendere la nomina a Patriarca di Bertrando di Saint Geneìs (1334-1350) perché al Friuli sia nuovamente dato lustro e prestigio. ciò nonostante, il 6 Giugno del 1350, ormai novantenne, fu ucciso da una congiura guidata dal conte di Gorizia e dal comune di Cividale ed altri feudatari friulani. Gli successe Nicolò di Lussemburgo (1350-1358) che perseguì tutti i responsabili della morte di Bertrando. Furono così abbattuti i castelli di Tarcento, di Porpetto, di Mels, di Villalta, di Invillino e molti altri. Lo stesso conte di Gorizia fu costretto a restituire tutte le terre ed i castelli usurpati.
Tra il 1365 ed il 1381, il patriarca Marquardo di Randeck realizzò una importante riforma giudiziaria, ma è noto soprattutto per aver promulgato la Costituzione della Patria (Constitutiones Patriae Foriiulii) la quale raccoglieva l’intensa attività legislativa prodotta in diversi decenni dal Parlamento friulano (era l’11 giugno 1366). Con la morte di Marquando ebbe anche fine un periodo di relativa stabilità politica. La stato patriarcale era ormai sulla soglia della decadenza indebolito dallo spirito di “fazione”, odio e vendetta dei comuni friulani, in particolare tra quelli di Udine e Cividale.
Il 13 luglio 1419 i veneziani occuparono Cividale. Dopo undici mesi (era il 7 giugno 1420), l’esercito veneziano entrava anche nella città di Udine; subito dopo cadevano Gemona, S.Daniele, Venzone, Tolmezzo. Era la fine dello stato patriarcale friulano.
Il Friuli, inglobato nella Serenissima Repubblica, si trova così esposto alle invasioni turche ed alle mire di conquista degli Asburgo. Considerato dai veneziani poco più di un avamposto militare, utile “cuscinetto” difensivo verso oriente, fu presto impoverito delle sue principali risorse. Le coltivazioni distrutte dalle guerre, gli animali da allevamento requisiti, le foreste disboscate. Venezia debellò così il potere politico ma mantenne inalterati i diritti feudali, conservando la situazione esistente durante il Patriarcato, tanto da incidere solo superficialmente sulle tradizioni e gli usi dei friulani.
Nel 1472, i Turchi, si spinsero fino a Monfalcone, quindi nel 1477 saccheggiarono la bassa friulana. L’incursione più violenta sarà però quella del 1499 quando i Turchi, nonostante l’eroica difesa di compagnie “rustiche” , bruciarono 132 villaggi friulani.
Lutti e miseria continueranno anche nei decenni successivi in seguito allo scoppio (1508) della guerra tra la Serenissima Repubblica e l’armata dell’Imperatore Asburgico Massimiliano I° d’Austria. Il conflitto segnerà anni di povertà e porterà alla luce antiche tensioni e rivalità tra nobili feudatari, contadini e piccola borghesia. Particolarmente nefasto fu il 1511 che oltre alla rivolta del giovedì grasso, vide il Friuli colpito dalla peste quindi da un terremoto di devastate potenza. Queste concause porteranno alla distruzione ed alla decadenza di numerosi castelli, molti dei quali non arriveranno mai ai giorni nostri.
La guerra continuò con alterne vicende quando nel 1514 il Friuli tornò ai veneziani e la Contea di Gorizia con Gradisca andò alla Casa d’Austria. La fine del conflitto determinerà, così, la triste spartizione del Friuli fra le due “superpotenze”.
Nel 1593 viene fondata la fortezza di Palma (Palmanova) e proprio da qui cominciò la nuova campagna veneziana contro gli austriaci (Guerra di Gradisca). Nel 1616 Gradisca viene assediata senza successo dall’esercito veneziano. Il conflitto terminerà, dopo alterne vicende, con un armistizio nel 1617, senza la mutazione dei confini preesistenti.
Nel 1751 il Patriarcato di Aquileia sarà soppresso da Benedetto XIV ed al suo posto erette le Arcidiocesi di Udine e di Gorizia.
Venezia accerchiata dagli austriaci e dai francesi stava capitolando.
Il 17 ottobre del 1797 con la Trattato di Campoformio (dizione veneta di Campoformido) Napoleone cedeva il Friuli all’Austria, per poi riprenderselo nel 1805 incorporandolo nel Regno Italico insieme a Gorizia e Gradisca (1809). Con il Congresso di Vienna (1815) il Veneto, il Friuli e parte della Lombardia andarono a costituire il Regno Lombardo-Veneto sotto il controllo austriaco. Pochi anni più tardi (1838) il mandamento di Portogruaro, da sempre friulano, sarà assegnato alla Provincia di Venezia, quindi il Comune di Sappada alla Provincia di Belluno (1852).
Il 26 luglio 1866 truppe italiane entravano a Udine accolte dalla classe dirigente locale. I contadini rimasero indifferenti da questa nuova “invasione”, forse non a torto, visto che in poco tempo l’esercito “liberatore” cominciò ad italianizzare tutti i toponimi locali.
A partire dal 1858 l’industria serica (la principale industria friulana del tempo) subì una gravissima crisi, tale da costringere molti contadini ad emigrare all’estero. Saranno così oltre 90.000 i friulani che lasceranno la “madrepatria” tra il 1885 ed il 1914.
I confini cambiarono nuovamente allo scoppiò della prima guerra mondiale (1914) che farà ancora una volta del Friuli un sanguinoso campo di battaglia. Dopo alterne vicende il 3 novembre 1918, l’Italia usciva vittoriosa dal conflitto. Il Friuli veniva così finalmente riunificato. Questo purtroppo sarà l’unico vantaggio di una terribile guerra che distrusse completamente il sistema economico friulano determinando così un irrimediabile ritardo di sviluppo nel confronto delle altre regioni italiane.
Seguirono anni di crisi economica, segnati dall’avvento del fascismo accolto, all’inizio, da un crescente consenso. Nel 1939 allo scoppio della seconda guerra mondiale, il Friuli si trova nuovamente coinvolto in un conflitto bellico. Il 3 settembre 1943 l’Italia si arrese, firmando l’armistizio con gli alleati (reso noto l’8 settembre). Le truppe tedesche mossero verso l’Italia e grazie al completo crollo militare e politico riuscirono a disarmare l’esercito italiano. In Friuli penetrarono due divisioni della Wermacht occupando tutta la regione, la quale fu trasferita direttamente sotto il controllo del III° Reich con il nome di Litorale Adriatico. Seguiranno 19 mesi di lotta partigiana, fino alla liberazione che per Udine arriverà alla fine di aprile del 1945.
Ancora una volta l’industria e l’agricoltura saranno duramente colpite. Le scarse possibilità economiche saranno all’origine di un nuovo e consistente flusso migratorio diretto non solo verso i paesi europei, ma anche verso gli Stati Uniti, il Canada, l’Argentina e l’Australia.
Con l’approvazione della Costituzione italiana nel 1947, alla regione Friuli fu aggiunta anche la “Venezia Giulia”. Tale scelta fu avversata dall’opinione pubblica friulana, che proprio in quegli anni rivendicava l’autonomia della propria terra mediante l’Associazione per l’Autonomia Friulana, nella quale militavano personalità del calibro di Tiziano Tessitori, Gianfranco D’Aronco e Pier Paolo Pasolini.
Nel 1963 viene così costituita la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con capoluogo Trieste. Al territorio veniva concessa la specificità di regione autonoma al fine di garantire l’italianità della zona di confine e di Trieste. La minoranza triestina (5% del territorio e 20% della popolazione) era così riuscita a prevalere sulla maggioranza friulana. A nulla servì, alcuni anni dopo, la nascita del Movimento Friuli che incarnò le istanze “friulaniste” per due decenni.
La provincia di Udine è oggi ai primi posti in Italia per qualità di vita. L’economia regionale, è basata essenzialmente sull’agricoltura, sull’industria meccanica e su quella del mobile. L’export riveste per la regione un’importanza fondamentale: Germania, Austria, Slovenia e Croazia sono infatti i principali destinatari dei prodotti friulani (oltre naturalmente il mercato italiano).
Ancora oggi diversi comitati di cittadini e movimenti politici si battono per l’ottenimento di una maggiore autonomia politico-amministrativa, troppo spesso però l’interesse comune si scontra con il “particolare” … come se la Storia non avesse insegnato nulla.